La diffusione dell’epidemia di Covid-19 ha rappresentato per gli esponenti dell’ecologia profonda e dell’eco-fascismo un certo ritorno nel discorso pubblico, per quanto ancora relegato principalmente alla diffusione sui vari social network.
È il ritorno della vecchia comunità escludente ma questa volta a tinta verde. Una forma di ecologismo è da sempre presente nei movimenti di estrema destra: pensiamo al movimento völkisch nei paesi di lingua tedesca che fu un’importante base del nazionalsocialismo o, in anni più recenti, a personaggi come Paul Watson, fondatore di Sea Sheperd, con il suo tentativo di spostare radicalmente a destra, alla fine degli anni ‘90, il Sierra Club, importante organizzazione ambientalista statunitense di cui era diventato dirigente, includendo la limitazione dei flussi migratori tra gli obbiettivi dell’organizzazione: una parte del Sierra Club, che si coagulò intorno alla carismatica figura di Watson, riteneva che una stretta limitazione dei flussi migratori, dai paesi della periferia del sistema-mondo verso il centro dello stesso, fosse necessaria per una stabilizzazione demografica tesa alla conservazione ambientale.
Il tema del controllo delle nascite, non inteso come libera autodeterminazione degli individui ma come politica da imporre in modo autoritario sulla base delle necessità delle borghesie nazionali, è ben presente in buona parte delle rappresentazioni pubbliche del problema dell’iniqua distribuzione della ricchezza globale: il problema non sarebbe la natura predatoria del capitalismo e l’organizzazione gerarchica della società ma bensì sarebbe il fatto che le popolazioni dei paesi poveri fanno troppi figli. Spogliato dell’elemento dell’analisi di classe, l’esser parte della grande massa degli esclusi diventa colpa e stigma di chi si trova spogliato delle risorse che vengono inserite nei mercati globali.
Intendiamoci: come anarchici abbiamo sempre avuto un occhio di riguardo verso il tema del controllo delle nascite ma intendendolo come possibilità di scelta individuale basata su un’analisi razionale della realtà, libera da vincoli ecclesiastici e morali di sorta. L’esatto contrario della rappresentazione autoritaria (poco importa se liberale, ecofascista o neoliberista in salsa cinese) del problema in cui lo stato deve farsi garante di una stabilizzazione della crescita demografica che deve rispondere ai fini della produzione di merce, ivi compresa la carne da cannone da immolare alle migliori sorti delle borghesie nazionali.
L’ambientalismo liberale, come anche l’ecofascismo propriamente detto, fanno invece a gara a scaricare come colpa sugli sfruttati l’impossibilità di controllare in modo razionale la crescita demografica.
Si potrebbe pensare che la diffusione delle teorie di stampo ecofascista sia una pura questione di chiacchiere su reddit o su 4chan. Ma non è così: sia Crusius sia Trenton, autori rispettivamente degli attacchi terroristici di stampo suprematista bianco avvenuti a El Paso e a Christchurch, nei loro manifesti politici fanno riferimento (nel caso di Trenton anche in modo esteso) al legame tra immigrazione e problemi ambientali.
Elementi di richiamo verso le teorie ecofasciste erano già presenti nel manifesto di Breivick, l’autore della strage di Utoya. A livello di elaborazione intellettuale più alto, tali teorie sono ben radicate nel lavoro teorico di De Benoist, padre intellettuale della Nuova Destra.
L’idea della purezza razziale, della comunità di sangue, si lega direttamente con l’idea della purezza della Natura. Una concezione romantica del paesaggio che si unisce a una visione romantica del Volk. Il paesaggio è naturale e dà origine a una comunità naturale, di sangue e di destino. Terra e Sangue: i due grandi tòpoi dell’estrema destra del ventesimo secolo. Il soldato politico del suprematismo bianco deve prendersi cura dell’ambiente naturale della sua comunità di sangue come un giardiniere si prende cura del giardino: gli immigrati, i diversi, gli estranei alla Tradizione, vanno eradicati così come si eradicano le specie nocive allogene.
La società, però, non è un giardino e un giardino non è una foresta. Un’idea di Natura con la N maiuscola, fissa e costante, eternizzata e legata indissolubilmente a un Popolo e alle sue strutture politiche: queste sono le basi dell’ecofascismo e del comunitarismo escludente. Peccato che la Natura non esista, che sia un costrutto culturale decostruito oramai da decenni, che varia così come variano le condizioni di esistenza nei vari angoli del globo. Esistono gli ecosistemi, non la Natura. Sono gli ecosistemi che sono stati intaccati, alterati radicalmente, distrutti. Non da una qualche forza mistica che si oppone alla purezza, ma dalle dinamiche proprie della messa a valore e della mercificazione dell’esistente.
La pandemia di Covid-19 ha tra le sue cause prime la distruzione degli ecosistemi, la compressione delle nicchie ecologiche, l’inurbamento forzato della popolazione nelle aree geografiche che la divisione internazionale del lavoro ha integrato forzosamente al suo interno, l’espansione dell’industria della carne organizzata in allevamenti intensivi, un’agroindustria legata a doppio filo alla finanziarizzazione, non tesa al soddisfacimento dei bisogni ma all’accumulazione del capitale. Non sono responsabilità del singolo sfruttato che compra un qualche bene di consumo, come vorrebbe una certa vulgata: è un prodotto specifico della struttura sociale in cui viviamo.
È tornata in qualche modo in auge la storiella che i disastri sarebbero la reazione della Natura a un’umanità vista come parassita. La realtà è che tale storiella è, appunto, una storia buona per distribuire le responsabilità della crisi ambientale indistintamente su tutta un’umanità, eliminando con un colpo di spugna la differenza tra sfruttatori e sfruttati, tra chi decide e chi subisce le decisioni. Il consigliere di amministrazione dell’ENI, in questa fantasia apocalittica, è responsabile al pari del proletario che, orrore orrore, osa indulgere in qualche consumo ricreativo. La critica dei consumi sostituisce la critica della produzione di merce: si passa a un’individualizzazione della colpa elidente il carattere strutturale della devastazione degli ecosistemi.
La retorica della colpevolizzazione individuale propria del neoliberalismo ha il suo specchio nella retorica ecofascista che vuole il ritorno alla terra. La critica reazionaria alla modernità, anche quando si traveste con un linguaggio che ricalca quello della critica radicale, non ha niente da offrire a chi vuole emanciparsi dal dominio. Chi decanta le gioie della vita naturale, del morire in accordo con presunti ritmi naturali, del chinare il capo davanti a culturalissime “leggi naturali”, non ha nulla da offrirci.
Il modello di gestione della pandemia adottato dai vari governi ci vorrebbe, per dirlo in modo spiccio, cornuti e mazziati. Gli agenti patogeni sono parte di un ecosistema e, con le mutazioni di questo, essi mutano. Alterazioni radicali e veloci degli ecosistemi portano a mutamenti radicali degli agenti patogeni. I salti di specie dei virus, l’emergere di batteri antibiotico-resistenti, sono conseguenza diretta dell’agroindustria: allevamenti intensivi con milioni di capi di bestiame, deforestazione incontrollata, inurbamento forzato.
Questi fattori non sono però dovuti a un qualche peccato insito nella “natura umana”, altra storiella essenzialista del cui peso dobbiamo liberarci quanto prima: sono insiti, invece, nella stessa struttura del modo di produzione vigente. L’attacco agli ecosistemi in nome della messa a valore dell’esistente si è, in questa occasione, congiunto con l’attacco alla salute individuale e collettiva in nome della messa a valore della stessa.
Le forze sociali che hanno spinto a una privatizzazione e a una finanziarizzazione di un bisogno come quello della salute sono le stesse che hanno spinto a un’espansione di allevamenti intensivi e relativi disboscamenti. In alcuni casi coincidono, come la Goldman-Sachs, società finanziaria che possiede quote di allevamenti intensivi in Cina e assicurazioni sanitarie e cliniche private negli USA. Siamo di fronte a una malattia che possiamo definire compiutamente come neoliberale nella sua origine e nella sua gestione.
Il problema, appare evidente, non è né qualche presunto peccato originale dell’umanità né l’esistenza di flussi migratori (ricordiamo che il Covid-19 è arrivato in Europa e USA in aereo, forse in business class, e non su di un barcone o nel doppiofondo di qualche TIR insieme alle masse di esclusi che provano ad entrare nel centro del sistema-mondo alla ricerca di condizioni di vita migliori), bensì la specifica organizzazione sociale in cui viviamo. L’abbraccio di ferro tra Stato e Capitale è stato ciò che ha reso possibile le condizioni che hanno dato vita a questo disastro.
Chi diffonde ordini del discorso basati sulla colpevolizzazione individuale, come ha fatto il governo italiano nelle ultime settimane, o sulla colpevolizzazione di segmenti sociali individuati come allogeni e portatori di malattie, come l’estrema destra e gli ecofascisti propriamente detti, altro non fa che nascondere le reali cause della catastrofe in corso.
Non è da escludere che una parte del discorso ecofascista possa essere integrato nella “narrazione dominante” di certi stati che dovranno gestire lo sfacelo da loro stessi creato. L’offrire un capro espiatorio in elementi individuati come estranei e portatori di malattie, fisiche e spirituali, tentare di costruire nuove forme di corporativismo per sostenere gli sforzi della ricostruzione economica, è una dinamica non nuova. La critica reazionaria alla modernità non può essere assunta nella sua interezza dalla classe dominante, ma gli utili idioti che si vogliono soldati politici di un nuovo ordine che si rappresenta come antico sono spesso stati i benvenuti.
Il sovranismo, per quanto se preso nell’interezza della soluzioni che esso propone sia inadeguato a offrire un modello di gestione della complessità globale per le borghesie nazionali, ha già in parte svolto questa funzione con i suoi richiami all’ordine naturale, alla famiglia naturale, alla comunità naturale. L’ecofascismo propriamente detto è ben più radicale del sovranismo ma è un attrezzo che può venir comodo a chi tenta di riprodurre il proprio dominio. La storia difficilmente si ripete uguale a se stessa ma certi elementi permangono come invarianze fintanto che non si eradicheranno le cause ultime della loro esistenza.
Lorcon